Nel cuore di Prati apre Carter Oblio

16 Dicembre 2020
4 minuti di lettura

In un ambiente di contaminazione nordica, dove si respira la ruvidezza della pietra e la durezza del legno ancora fresco, viene presentato un menù senza etichette, libero, dove la parola d’ordine e ‘estemporaneità.
Lontano da una ricercatezza stereotipata, Carter Oblio ammicca alla tradizione verace e sa volgere senza impacci a preparazioni strutturate e sofisticate.
Una cucina del “così è se vi pare”, che rifugge binari, previsioni e giudizi. Fatta di estro, gioco, sapori, flussi e godibilità.

Una avventura coraggiosa

Aprire un ristorante nel cuore di una emergenza è dura. Questo anno beffardo ha messo in attesa il progetto tante volte, e in tanti modi. Ma ha anche permesso di plasmare Carter Oblio fisicamente sulle esigenze del cliente oggi. Di concepire un progetto non solo bello, ma anche sicuro.
Il concept di Carter Oblio già nasceva in realtà come una filosofia dello spazio. L’idea era creare una comfort zone molto materica ed essenziale dove il cliente poteva concentrarsi sulla sua esperienza degustativa. E l’obiettivo è stato centrato. Bravi artigiani hanno supportato questa idea di ristorazione in cui a farla da padroni sono i materiali (e in cucina le materie prime) di pregio. Legno, ferro, vetro lavorati a mano. Forme rigide. Distanze ampie che permettano ad ogni tavolo di vivere la propria “storia”.

La sensazione è di una rarefazione di forma che rimarca la densità del contenuto: il piatto. Lo spazio di Carter Oblio ambisce a creare un senso di sospensione dalla realtà, di estraneazione, complice un mood di ispirazione nordica, che regala accoglienza e calore ma non distrae il cliente dalla sua esperienza sensoriale.
Finalmente, sul finire di un anno complesso per tutte le attività, Carter Oblio ha acceso i fuochi e accolto i suoi ospiti. Da subito l’attesa che era parsa infinita ha fatto spazio al fermento. E il giovane gruppo di Carter Oblio si è lasciato alle spalle gli sforzi che hanno accompagnato il progetto. Gli attraversamenti romani in cerca del locale giusto. L’innamoramento al civico 21 di via Belli. I serpentoni burocratici della solita Roma kafkiana. Le serate insieme a scrivere tre nomi a testa su un foglio e poi si passava ai voti e non si decideva mai. Le pennellate di grigio spalmate a turno sulle pareti che volevano scabre e grossolane. Le pietre spazzolate e tornate grezze. La ricerca di ogni singolo pezzo ei tanti incontri, ogni piastrella una storia.

Lo chef

Carter Oblio nasce come anagramma dei due nomi dello chef Ciro Alberto Cucciniello. Un ristorante, ma soprattutto un progetto identitario. Cucito addosso.
Il logo è un profilo, una sagoma interrogativa. È un alter ego. È un promemoria, e ricorda che dietro un’avventura del genere c’è una persona con le sue domande, le sue curiosità, la sua avidità di scoperta. Anni di appunti. E di passioni. La lettura, i viaggi, le materie prime, il fuoco, le cotture, una cucina che predica verità.
Lo chef, laureato in economia ma votato all’arte dei fuochi, ha esordito nell’equipe di Scabin, e si è consolidato in anni di guida della brigata romana di Settembrini, e nel corso di varie esperienze all’estero.
Poi la voglia di creare una cucina carica forza e di appartenenza. Che miscelasse le contaminazioni del viaggio con la carnalità del territorio. Tutto declinato secondo estro, estemporaneità, stagionalità, esaltazione del gusto.
Qualche volta ci sono i progetti e occorre poi trovare le persone che li calzino bene. Qualche altra, proprio chi ha la visione dà forma al progetto. È accaduto con Carter Oblio. All’inizio c’era uno chef con la sua idea, aprire un ristorante nel cuore di Roma dove la parola d’ordine fosse autenticità. Un ristorante dove la cucina si facesse narrazione, racconto. Storia di ristoranti e di città assaggiate, storia di anni di studio, storia dei ricordi di una nonna portentosa, storia di isole addentate per mari e per sentieri che decantano nella memoria e nel palato, storia dei sapori ingordi di giovinezza, delle scorpacciate pazze con l’amico di una vita, storia di un piccolo orto paterno dove gli assaggi si strappavano freschi alla terra e sferzavano sapori vivi, storia dei posti in cui il cibo ha avuto il potere di rilassare l’anima.

Due menù

Carter Oblio offre due menù. Uno dall’impronta più stagionale (ma comunque molto flessibile) e uno in continua evoluzione, praticamente giornaliero, che rincorre a vista il costante procacciamento di materie prime di qualità.

Ai clienti viene proposto un tagliere dei pani che annovera una selezione di impasti con lievito madre che spaziano dalle miscele con cacao amaro e noci e quelle con farina affumicata. In allestimento anche un tagliere di salumi artigianali, preparati e stagionati in casa. Ogni preparazione è artigianale in ciascuna fase della filiera.
Nella cucina dello chef le fermentazioni e le affumicature sono molto presenti. Attentissima la ricerca delle materie prime. Con un occhio puntato sulle eccellenze territoriali della nativa Irpinia, come per l’olio di Ravece, i tartufi, i vini del pluripremiato Luigi Tecce.

La collaborazione con Luigi Tecce

Quando si avvia una attività di ristorazione ambiziosa, uno degli scogli da superare è la carta dei vini. Che sia accattivante, che sappia attingere al sottobosco dei piccoli bravi produttori, che sappia estrarre dal mare magnum delle grandi etichette i nomi che meglio accompagnano i piatti e l’impronta dello chef. Per gli amanti del vino e della tavola è un lavoro impegnativo. Joana Razmyte si è lasciata ispirare da un consigliere d’eccezione. Un uomo che ci ha consegnato vini di pregio indiscusso, e un pensiero filosofico semplice e straordinario che meriterebbe ore e ore di infaticato ascolto e calici e calici di rosso Poliphemo.
Tra le etichette di Carter Oblio padroneggiano i vini di Luigi Tecce, che affondano le radici in Irpinia, ma non solo. Le complessità aromatiche del pluripremiato Poliphemo risalgono le pendici di una storia familiare. La storia poetica di un figlio che eredita l’azienda paterna e si reinventa viticoltore per non spezzare il ricordo. È questa energia sanguigna, questa potenza del rapporto filiale che ha fatto grande il mordente. Vini nati dalla memoria, dall’adattamento, dagli espedienti, dalla sorte. Il contadino artigiano che cita Omero e rispolvera la storia. Affabulatore, rilassato e cortese, maestro di vino e di vita tutta. Con lui si ferma il tempo, si sente il vento che soffia lento sulla terra aspra. E non si ha mai voglia di andare via.
Ci sono persone inclusive, che fanno del verbo “restare” una condizione naturale e aggregante. Luigi Tecce è di quei maestri antichi, che col garbo e il sorriso mitigano il tempo. E con la parola ammaliano, senza fretta. Un amico di cui lo staff di Carter Oblio si pregia, e ringrazia con affetto grande e stima senz’altro maggiore.

Il dehors

Carter Oblio ha arricchito lo spazio interno di un dehors molto ricercato, sempre di fattura artigianale. Una pedana che ricalca l’impronta nordica degli interni, tutta in legno, e ne rilancia lo stile aggregante ma conservativo di riservatezza ed esclusività per ciascun tavolo.

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